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Charles Leclerc: «Volevo solo saltare la scuola»

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C’era una volta a Brignoles, l’ex residenza estiva dei conti di Provenza, nel cuore della Costa Azzurra, una pista di kart. Ogni fine settimana, Hervé Leclerc veniva qui per incontrare il suo migliore amico, Philippe Bianchi, il gestore di quel circuito. I rispettivi figli, Charles e Jules, si sono incontrati proprio qui. Nel 2009, Jules entrerà in Ferrari Driver Academy, il programma che il Cavallino aveva aperto proprio quell’anno seguendo i dettami di Enzo Ferrari: «Amo pensare che la Ferrari possa creare piloti, oltre che automobili». Charles Leclerc, di otto anni più giovane, entrerà in quella stessa academy di Maranello alla fine del 2015. Il suo amico Jules era scomparso pochi mesi prima, a causa di uno spaventoso incidente in pista a Suzuka, in Giappone. Ora, intervistato da Esquire Italia, Leclerc ripercorre la sua carriera, e parte dai kart di Brignoles dove – spiega – tutto era iniziato per caso: «Ho finto di non sentirmi bene, per non andare a scuola. Quando sono salito sul kart per la prima volta, magicamente mi ero ripreso». Sorride e torna serio: «È stata un’ottima scuola. Mi ha insegnato davvero tanto».

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Piotr Niepsuj

Abiti e accessori FERRARI, orologio RICHARD MILLE. Servizio di Antonio Autorino, foto di Piotr Niepsuj, testo di Matteo Albanese. Art director Emanuele Amighetti, assistente ph Andrea Venturini, styling assistant Luca Paolantonio, production Sabrina Bearzotti, grooming Gianluca Grechi @blend, Leon Gorman @blend.

Charles, è il primo pilota uscito dalla Ferrari Driver Academy a guidare la Rossa.

Guidare la Ferrari è speciale, sia perché hanno creduto in me, sia perché io ho sempre tifato Ferrari, da quando guardo la Formula 1. Da altre parti, il mio, lo considerano un mestiere. Qui, per me, prima di un lavoro è una sincera passione.

Prima delle monoposto, però, guidava i kart.

Ho iniziato per caso, da bambino. Un giorno, mi finsi malato per non andare a scuola. Mia madre lavorava, mio padre uscì per andare a trovare il suo migliore amico Philippe Bianchi (padre dell’ex pilota Jules, ndr), che aveva una pista di kart a Brignoles, e dovette portarmi con lui. Vidi un kart, ci salii sopra e mi sono innamorato.

In carriera ha vinto cinque Gran Premi, tra cui a Monza nel 2019, che ha definito «il giorno più bello della mia vita». Qual è il suo tracciato preferito?

Monaco, perché è una pista stupenda. Lo sarebbe anche se non ci fossi nato, ma lì ogni volta che guido riconosco le persone affacciate ai balconi. Le stesse strade che percorrevo in bus da piccolo, per andare a scuola, ora le percorro alla guida della Ferrari.

Proprio a Monte Carlo, nel 2020, ha guidato una SF90 Stradale, toccando i 240 km/h nel remake di Le Grand Rendez-vous, di Claude Lelouch.

Monaco non è come sembra. Non è solo Formula 1 o tennis. Certo, c’è questa parte “glamour”, ma in fin dei conti è una città piccola. Noi monegaschi veri ci conosciamo tutti, siamo solo novemila. Poi è vero che una buona parte di Monte Carlo riguarda il Gran Premio: le gare durano tre giorni, ma la preparazione inizia un mese e mezzo prima e termina tre settimane dopo il GP.

Cosa rende speciale un circuito?

L’adrenalina che ti procura. Se penso a Monaco, è una pista molto difficile perché si corre in città, sei circondato da muri, non hai alcun margine di errore. Ma mi piacciono pure Singapore e Las Vegas, che è stato aggiunto nel 2023.

L’adrenalina la cerca anche fuori dalla pista.

Due anni fa, durante l’off-season, ho iniziato la scuola di volo ma non ho mai preso il brevetto. Ho fatto dodici o tredici ore accompagnate, ma non ho mai pilotato da solo. Sono sempre molto impegnato.

Correrebbe mai in MotoGP?

Mi piacerebbe molto provare. Per ora, però, in Ferrari mi suggeriscono di aspettare, e li capisco. In futuro, chissà.

Cosa succede quando indossa il casco?

Tutto rallenta, sembra di vivere in slow motion. Per me ormai è un’abitudine, ho iniziato a guidare a tre anni e mezzo. Sono un po’ pazzo, ma quando guido divento molto razionale. Le emozioni si lasciano sempre fuori dalla macchina.

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Piotr Niepsuj

Abiti e accessori FERRARI, orologio RICHARD MILLE. Servizio di Antonio Autorino, foto di Piotr Niepsuj, testo di Matteo Albanese. Art director Emanuele Amighetti, assistente ph Andrea Venturini, styling assistant Luca Paolantonio, production Sabrina Bearzotti, grooming Gianluca Grechi @blend, Leon Gorman @blend.

Quando non guida, è anche musicista. Lo scorso aprile, ha pubblicato un singolo al pianoforte.

L’ho fatto per disconnettermi dalla Formula 1. Ho iniziato durante il Covid e il pezzo si chiama AUS23, dal nome che nel gergo dei nostri ingegneri indicava il Gran Premio d’Australia 2023. Di recente, poi, sono stato a un concerto di Elton John, un’esperienza incredibile. E abbiamo parlato di Formula 1.

A casa sua, ha un Kinsella.

È uno dei miei artisti preferiti, assieme a Basquiat. Se posso, nel mio tempo libero, scelgo di visitare musei. L’arte mi porta a riflettere sulle creatività, come l’architettura di Renzo Piano, che di recente ha progettato un palazzo a Monte Carlo.

C’è un pilota che ammira, come ammirerebbe un quadro?

È diverso, io preferisco concentrarmi su me stesso. So quali sono i miei punti deboli e cerco di trovare sempre la migliore versione di me.

Cosa si prova a sfilare su una passerella?

È un modo di esprimere sé stessi, come l’arte, come la musica. Anni fa, avevo anche pensato a una mia linea di abbigliamento. Ora che la Ferrari ha lanciato il suo marchio di moda, magari lavoreremo assieme pure lì.

Quanto conta la macchina e quanto conta il pilota?

Con gli anni, la tecnologia ha preso il sopravvento e il livello di noi piloti è davvero omogeneo. Rispetto a cinquant’anni fa, usiamo simulatori e facciamo intere giornate di test, per cui sono le macchine che guidiamo a fare la differenza. Poi c’è una componente emotiva, soggettiva, ma secondo me è un aspetto che pesa poco, e comunque sempre di meno.

Cosa vi lega alla Ferrari, per cui suo padre faceva il tifo?

Lui non ha mai spinto per vedermi in Ferrari. Alcuni amici di famiglia avevano un appartamento fuori dalla curva uno del Gran Premio di Monte Carlo, spesso andavamo lì a guardare la gara. Io ero piccolo, giocavo con le macchinine e sceglievo sempre la rossa. Non sapevo neanche si chiamasse Ferrari, però sceglievo sempre quella macchinina rossa. Poi, negli anni, mio papà mi ha parlato di Ayrton Senna e il rosso è diventato un colore ancora più speciale per me.

E che rapporto ha con Carlos Sainz?

Come con ogni compagno di squadra, è un rapporto bilanciato tra competitività e collaborazione. Da un lato, guidiamo la stessa auto, a fine stagione si sommano i punti di entrambi e noi abbiamo la responsabilità di far vincere alla Ferrari il Mondiale costruttori. Dall’altro, so che Carlos vuole battermi sempre, almeno quanto lo voglio battere io. Abbiamo interessi in comune: il padel, il golf, gli scacchi.

Nel 2022 è stato vicecampione del mondo. La scorsa stagione è iniziata sotto le aspettative ma ha concluso quinto in classifica piloti. Cosa aspettarci dal 2024?

L’anno scorso è stato deludente. Io volevo provare a vincere il Mondiale e non ci sono riuscito, però il team ha reagito bene alle difficoltà. L’obiettivo rimane lo stesso: vincere. L’anno scorso ci ha ricordato che siamo ancora lontani dalla Red Bull, dobbiamo lavorare molto ma c’è ottimismo. Soprattutto, c’è molta voglia di annullare il distacco e questo mi dà fiducia nel futuro.

Headshot of Matteo Albanese

Classe 1997, genovese e genoano (pure non in quest’ordine), ha studiato a Savona spaziando tra il giornalismo e la SEO. Ha scritto e scrive tra gli altri per La Gazzetta dello Sport, Rivista Undici, PianetaGenoa1893.net e Cronache di Spogliatoio. Nel 2018 ha pubblicato ‘Narrami, o Dellas‘, un libro sulla Grecia vincitrice dell’Europeo di calcio 2004. Fin qui solo calcio, ma c’è altro: playlist di musica elettronica, biografie, una genuina ossessione per l’IKEA e le storie scandinave.   

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